martedì, gennaio 12, 2010

LA FARSA ANTIRAZZISTA DI ROSARNO

Certo la manifestazione ‘antirazzista’ nel paese dove le famiglie mafiose della ‘Ndrangheta dei Pesce e dei Bellocco controllano tutto e tutti non può che essere una ‘farsa’. La cittadina aveva una necessità di rifarsi un’immagine buonista dopo i gravi fatti accaduti con la rivolta degli africani immigrati ora ‘mandati’ via altrove. Anche per il fatto che lo stesso consiglio comunale è stato commissariato per mafia.

Tant’è che si tratta solo ed esclusivamente di una manifestazione delle cosche locali e ne è la prova la vicenda inquietante degli studenti del liceo che ingenuamente volevano marciare con lo striscione intitolato “Speriamo di poter dire c’era una volta la mafia” a cui è stato ‘impedito’ di farlo e che però alla fine è stato loro concesso di esporre un altro striscione sull’antirazzismo dei cittadini. Lo striscione sulla mafia invece viene in ultimo “rinnegato” dalla stessa studentessa la quale afferma poi che la mafia su quei fatti non c’entra niente. Inquietante, chissà che cosa le hanno detto per farle cambiare idea così rapidamente. Il video qui sotto lo documenta in modo inequivocabile.

kobrakhan74
11 gennaio 2010
Rosarno:"C'era una volta la mafia?"

Per quanto riguarda la ragione vera dei fatti accaduti e poi sulla sorte dei tremila immigrati africani la spiegazione risiede nell’articolo di Roberto Rossi sull’Unità “GLI IMMIGRATI NON SERVONO”. Più semplicemente da quando nel 2007 l’Europa ha modificato il criterio dell’elargizione dei sussidi agricoli, non più sulla produzione ma sugli ettari coltivati. In altre parole non conviene più fare la raccolta che in base ai prezzi di mercato della frutta, costa tre centesimi in più al chilo di quanto si ottiene con l’aiuto europeo che arriva comunque anche se non si raccoglie. Questo però fino al 2013. Ma fino ad allora ‘gli schiavi’ non servono. Trattati alla stregua di ‘animali’ per anni è bastata, data la loro ingenuità, qualche ‘provocazione’ per farli ‘reagire’ con ‘rabbia’ in modo da ‘suscitare’ tanta ‘reazione’ e dai cittadini e dal Governo per mandarli via definitivamente. E così infatti è stato! Missione compiuta!

Nella manifestazione, Rosarno ha cercato di dimostrare a tutti che così non è, che i cittadini sono stati accoglienti mentre i ‘neri’ sono stati ‘ingrati’ e più importante di tutto, che la mafia non c’entra niente (forse per evitare le inchieste e il blocco dei sussidi?).

Non c’è manifestazione più ‘RAZZISTA’ e IPOCRITA di questa perché si ammanta di parole ‘antirazziste’ strumentalizzando gli ingenui (impauriti) studenti. Ecco dove siamo arrivati!
Raffaele B.

L’ANTEFATTO
Duemila persone in strada per dire “non siamo razzisti” In un paese dominato dalla criminalità organizzata.
12 gennaio 2010

Rosarno. La Calabria è una bomba pronta ad esplodere e la miccia è a Rosarno. Bisogna venire qui per toccare con mano le piaghe provocate dall’abbandono: disperazione, bisogni veri, impotenza, rabbia antica. Una miscela pericolosissima che qualcuno sta maneggiando con estrema raffinatezza. Bastava vedere la manifestazione di ieri. Duemila persone. I negozi del paese sbarrati. Un corteo silenzioso e rabbioso. Contro “lo Stato che ci ha abbandonato”, “i mass media che ci criminalizzano”. Noi che “non siamo razzisti”. Questo diceva l’unico striscione che gli organizzatori del “comitato spontaneo” hanno consentito di esporre. Severamente vietati gli altri. Lo si è capito a metà corteo quando tre ragazze-tre del locale liceo srotolano il loro. “Speriamo di poter dire c’era una volta la mafia”. Un oltraggio nel paese dei Pesce e dei Bellocco, capi di quella ’Ndrangheta che qui è padrona di tutto. Della vita dei rosarnesi e del loro futuro, delle arance che marciscono sugli alberi e del destino dei “negri”. “Chiudetelo”, impone uno degli organizzatori, “abbiamo dato direttive precise”. Le ragazze capiscono e lo arrotolano mestamente. Non c’è libertà nel paese dei signori della ‘Ndrangheta, dove il ricordo di Peppino Valarioti, consigliere comunale del Pci, ucciso la sera dell’11 giugno 1980 dalla mafia delle arance a trent’anni, è ormai sbiadito…
CONTINUA

L’UNITÀ
GLI IMMIGRATI NON SERVONO I SOLDI ARRIVANO LO STESSO
Di Roberto Rossi 12/01/2010

Nella Piana di Gioia Tauro, quella degli agrumeti, la differenza tra la vita o la morte, tra la permanenza o la fuga, per tremila immigrati africani la fanno tre centesimi di euro. È lo scarto che corre tra il costo e il ricavo nella produzione di arance e clementine. Tra quello che si spende di manodopera per la raccolta e quello che si guadagna, invece, con la trasformazione. Ed è la ragione ultima della caccia al nero, gestita e coordinata dalle famiglie mafiose locali, avvenuta per le strade e le campagne di Rosarno la scorsa settimana.

Per spiegare le origini di un linciaggio di massa bisogna partire dal lontano. Dal Lussemburgo, per la precisione, a 2000 chilometri dalla Calabria. Nel Granducato, nel giugno del 2003, la Commissione Ue decide di riformare la Politica agricola comune (o Pac). Si tratta del sistema con il quale l’Europa finanzia e aiuta il settore agricolo. È una delle politiche comunitarie più importanti, impegna il 44% del bilancio, prevede centinaia di miliardi in sussidi in tutto il continente, dei quali quasi trenta in Italia.

In questo quadro all’interno del pacchetto di «politica di sviluppo rurale per il periodo 2007-2013», l’Unione europea apporta alcune modifiche al sistema di aiuti all’agricoltura. Uno di questi è il sostegno agli agricoltori in base al numero di ettari coltivati e non in base alla produzione. In sostanza se prima si finanziavano i chili, oggi gli aiuti sono a metro quadro. La riforma entra a regime nel 2007. Nel caso di Rosarno, dove si coltivano agrumi, l’Europa concede 800-1200 euro per ogni ettaro di terreno. La differenza sta nel tipo di coltivazione. 800-1200 euro, dunque, vanno in mano all’agricoltore solo per il possesso del terreno. Non conta poi se quel terreno dà frutti. Conta l’estensione dell’appezzamento.

Fuori stagione A che servono allora gli immigrati che da oltre 20 anni stagionalmente arrivano in quelle terre? A nulla. Tanto più che produrre agrumi ora non conviene più. Se da una parte gli aiuti comunitari hanno impedito la ristrutturazione della filiera, dall’altra la frutta proveniente dal Marocco, Spagna, Brasile, ha fatto crollare il prezzo finale (a 25 centesimi). Il risultato? In Calabria per la trasformazione delle clementine i produttori prendono cinque centesimi. Per la raccolta ne spendono otto. Tre centesimi di differenza che segnano il destino degli immigrati.

«Gli africani un tempo - spiega Antonino Calogero della Flai Cgil locale - venivano tollerati anche se per pochi mesi. Poco dopo l’Epifania arrivava la solita retata della Polizia a sgomberare le baracche». Oggi, invece, non servono neanche per pochi mesi. E per questo gli sparano contro. «Lo scorso anno - dice Sergio Genco segretario regionale della Cgil - ci sono state sei persone “sparate”». Tutte africane. Due di queste in modo serio al braccio. «Li volevano cacciare per non farli tornare». E ci sono riusciti.

«Il ministro Maroni - spiega ancora Genco - porta addosso una grossa responsabilità. Con lo sgombero e la demolizione delle baracche si è piegato all’indirizzo delle cosche». Le quali stanno facendo incetta di terreni. «Produrre non conviene, il latifondo invece sì», chiosa Genco. Nella sola Piana di Gioia Tauro ci sono 29 famiglie appartenenti alle ‘ndrine. Alle quali, per rapporti di parentela, se ne collegano altre 70. In totale 100 famiglie controllano un territorio che ospita 180mila abitanti. E le famiglie possono decidere la vita o la morte di tremila braccianti africani. «Torneranno», dice Genco. Nel 2013 gli aiuti finiscono.

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