mercoledì, settembre 17, 2008

SCUOLA – MINISTRA GELMINI E IL MAESTRO UNICO

Ho pensato di inserire due commenti presi da un unico quotidiano il messaggero di cui il primo è di Giorgio Israel in “Maestro unico/1: una cura razionale” favorevole alla politica del ministro dell’istruzione Gelmini e l’altro di Vincenzo Cerami in “Maestro unico/2: così non va, solo indietro” totalmente contro la ministra.

L’idea di mettere a confronto due visioni opposte della scuola mi pare interessante perché permette di cogliere le sostanziali differenze fra i due opposti ragionamenti.

Il
primo commento si basa sull’attribuzione al solo personale docente “sindacalizzato” la colpa del cattivo stato della scuola ma non ancora allo sfascio solo grazie ad una quota di docenti eroi che <<continuano a concepire la loro professione come una missione educativa basata sulla trasmissione della conoscenza>> frase retorica in realtà per evitare di dire quelli “non sindacalizzati”. insomma docenti che non discutono mai le misure che i ministri (tutti) fanno sulla scuola. Obbediscono e insegnano! Inoltre non dice che la scuola è fondamentale per lo sviluppo del paese.

Il
secondo commento si basa sull’attribuzione alla politica (ai governi) la colpa maggiore del cattivo stato della scuola con continue “riforme” e “controriforme” ad ogni legislazione per cui tutte le politiche su di essa si sono dimostrate inadeguate. Si basa sul concetto che la scuola è la chiave di volta del paese che non può mai essere “definanziata” ma “finanziata” sempre nell’ambito della “razionalizzazione” beninteso per evitare gli sprechi, per meglio adeguare i propri standard che servono per vincere le sfide della competizione mondiale in un progresso che non si arresta mai, altrimenti si perde. Riconosce il diritto di critica da parte di tutti gli operatori della scuola sulle misure adottate dai governi, perché stare zitti se si pensa che siano sbagliate? Evidenzia che le ultime misure della ministra, quali il grembiulini, il voto in condotta e il maestro unico, peggiorano addirittura la situazione perché si fermano solo alla facciata del problema senza risolverlo. Infine rivaluta i valori e le differenze fra le persone perché portatrici di “cultura” contro una omologazione che è solo deleteria ed asservimento, cioè il suo contrario.

La scuola viene invece vista da questo governo e quindi dalla Gelmini come un “costo” da ridurre anziché un “investimento” da accrescere e per questo prevede una riduzione sostanziale dei fondi con la scusa di “razionalizzare” per eliminare gli “sprechi”. I soldi così “risparmiati” possono essere dirottati ad altre priorità quale per esempio la copertura dell’ICI abolita anzichè "reinvestirli" nella scuola!
Raffaele B.

ILMESSAGGERO
Maestro unico/1: una cura razionale (favorevole alla Gelmini)
di Giorgio Israel

ROMA (15 settembre) - L’anno scolastico si apre in una fase cruciale per il futuro della scuola italiana. È da augurarsi che prevalgano atteggiamenti razionali e costruttivi, che si prenda atto dei problemi anziché oscurarli con gli slogan, le fasce nere al braccio e le occupazioni di scuole. Si ripete ogni giorno che nessun paese come l'Italia ha tanti insegnanti mal pagati e frustrati. Non è razionale ignorarlo e chiedere altre infornate di precari.

L'era della scuola come ammortizzatore sociale è finita ed è irresponsabile tentare di perpetuarla. La nostra scuola è afflitta dal bullismo, dalla mancanza di disciplina e dal disordine. Non è razionale opporre alle misure del ministro Gelmini sul ripristino del voto in condotta, dei voti in pagella e del recuperi dei debiti formativi, il solito "ben altro servirebbe" , che si riduce a riproporre ostinatamente le ricette che hanno condotto all'attuale situazione. Grandinano sulla nostra scuola valutazioni negative che collocano a livelli molto bassi i nostri studenti, soprattutto per le conoscenze matematiche e linguistiche.

Nell'impossibilità di ignorare questi fatti, troppi si comportano come se dipendessero da tutto salvo che dalla scuola: per loro, è come se si trattasse degli effetti di una grandinata su un magnifico vigneto. Tutto ciò è ridicolo. I pessimi rendimenti della scuola italiana non sono effetto del destino cinico e baro.

È quindi da sperare che, di fronte ai provvedimenti presi dal Ministro Gelmini e da quelli che seguiranno ci si astenga da agitazioni inconsulte e irragionevoli; tanto più in quanto basta guardare ai sondaggi in rete dei maggiori quotidiani per constatare che questi primi provvedimenti ottengono gradimenti dall'80% al 90%. È inutile illudersi di essere maggioranza solo perché si strilla di più, parlare a sproposito di "rivolta delle famiglie", opporsi a tutti i costi avanzando quelle che Mario Pirani ha definito critiche "fastidiose e inconcludenti mosse in nome di uno slogan tipico degli eserciti destinati alla sconfitta: "indietro non si torna"". Quando "Famiglia Cristiana" accusa il Ministro di procedere senza dibattiti e confronti con il mondo della scuola, e senza consultare esperti, "solo con le competenze di casa sua, la madre e la sorella maestre" non soltanto ricorre a polemiche di infimo livello, ma rivela il vero intento: quel che si vuole non è tanto il dialogo quanto il continuare a considerare come referente principale e unico "competente" quel complesso sindacale-psico-pedagogico-docimologico che domina la scuola da trent'anni e che è responsabile del suo stato attuale. Altrimenti, si dice, "la scuola resterà, come diceva don Milani, un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati". Il fatto è che la scuola che cura i sani e rifiuta i malati è proprio quella di oggi, più di quella di ieri. Dopo aver predicato per decenni contro la "scuola di classe", essa è stata finalmente realizzata, appiattendo tutti verso il livello più basso anziché motivare tutti a elevarsi verso l'alto. In nome dell'interesse primario per il "malato" abbiamo creato una scuola dequalificata che lascia soltanto ai figli dei colti e dei ricchi la possibilità di andare avanti mentre i "malati" sono condannati a restare tali, se non ad ammalarsi più gravemente. È probabile che oggi don Milani, da persona intelligente e intellettualmente onesta, si metterebbe le mani nei capelli nel vedere a cosa ha condotto la demagogia egualitarista e prenderebbe le distanze dal "donmilanismo", a differenza chi si crogiola nel conservatorismo delle idee preconcette e degli interessi costituiti.

Il conservatorismo si nutre di slogan ripetuti ossessivamente senza riguardo ai fatti. Il più clamoroso di questi slogan è la formula secondo cui la scuola elementare italiana sarebbe una delle migliori del mondo e l'introduzione del maestro unico distruggerebbe il "fiore all'occhiello" della nazione. Si citano statistiche che proverebbero tale qualità, tra cui un recentissimo rapporto Ocse che, nel sottolineare la generale catastrofe della scuola italiana, salverebbe le primarie. Non si dice però che anche questo rapporto riguarda dati meramente strutturali e non ha preso in esame la qualità degli apprendimenti: che l'Italia investa nella scuola primaria più risorse della media Ocse è evidente (visto il numero di maestri!) e soltanto per questo si colloca in buona posizione. Ma ciò non dice nulla sui risultati di tali investimenti! Difatti, la stessa Ocse ha osservato che il vero problema è che i fondi sono spesi esattamente all'opposto di quanto fa la Corea del Sud dove vi sono meno professori e meglio pagati. E pure entro il quadro Ocse - le cui primarie sfigurano rispetto a quelle di diversi paesi emergenti - le classi elementari italiane hanno un numero di alunni inferiore alla media e tempi netti di insegnamento molto bassi.

Chi ripete lo slogan che la scuola primaria italiana è tra le migliori del mondo sfrutta la buona fede di chi crede che essa sia sempre la stessa e non sa che è stata rivoltata come un calzino dal 1985 in poi. Essa è piuttosto il fiore all'occhiello del pedagogismo dell'autoapprendimento, dell'"apprendere ad apprendere" in barba alle conoscenze, del "meglio una testa vuota ben fatta che una testa piena". È la scuola in cui non si insegnano i "fatterelli" della storia come ha scritto una maestra su questo giornale bensì si studia la linea del tempo, le dinamiche astratte dei processi storici, le "cause" del crollo degli imperi senza conoscere un solo impero reale. È la scuola in cui la geografia è studio astratto della "spazialità", analisi del "davanti", "dietro", "sopra" e "sotto" (orrendamente chiamati "indicatori topologici"). È la scuola in cui la matematica è ridotta a manipolazioni con disegni e colori. È una scuola frantumata in miriadi di "offerte formative" disparate: sicurezza, privacy, prevenzione incendi, progetti di canto, teatro, danza, fotografia ecc.
Si guardi inoltre al percorso formativo attuale di un maestro. Non sono pochi i corsi di laurea che permettono di diventare maestri seguendo una trentina di ore di matematica e di storia moderna (soltanto moderna), con casi limite in cui la matematica è opzionale rispetto a materie come la pediatria. La componente psicopedagogica è dilatata in modo esorbitante fino a occupare l'80% del corso di studio relegando la parte disciplinare alla misera quota restante. Così otterremmo maestri specializzati capaci di produrre un mirabile intreccio di competenze? In realtà, oggi noi formiamo psicopedagoghi dotati di un'evanescente infarinatura di conoscenze disciplinari. Per cui, la polemica contro il maestro unico "tuttologo" è priva di qualsiasi serio fondamento.

Va comunque detto che se la scuola italiana (non soltanto la primaria) non va a fondo del tutto è per merito di migliaia di insegnanti che continuano a concepire la loro professione come una missione educativa basata sulla trasmissione della conoscenza e che, non a caso, sono considerati da certi teorici dell' "apprendere ad apprendere" come il più grande ostacolo al dominio incontrastato delle loro fallimentari teorie.

ILMESSAGGERO
Maestro unico/2: così non va, solo indietro (contro Gelmini)
di Vincenzo Cerami

ROMA (15 settembre) - È innegabile che la nostra scuola ha urgente bisogno di sostanziali riforme per risalire la graduatoria europea che ci vede agli ultimi posti. Servono interventi strutturali capaci di restituire dignità e credibilità alle nostre aule scolastiche e alle nostre università. È impresa delicata perché sono in gioco il nostro futuro e la futura classe dirigente.

Tutte le politiche fin qui adottate si sono dimostrate inadeguate, e quest’ultima del Ministro Gelmini peggiora addirittura le cose. Le peggiora perché si ferma alla facciata del problema, non affronta la questione in senso risolutivo, rimandando alle calende greche una vera rinascita dell’istruzione pubblica italiana. In questi giorni, infatti, non si parla d’altro che di grembiulini e di maestro unico, come se fossero la panacea d’ogni male. È solo fumo negli occhi.

Alla notizia dei provvedimenti sul tavolo del governo che riguardano la scuola e l’Università, l’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si è affrettata a chiedere in maniera netta e inequivocabile al Ministro Gelmini di tornare indietro nelle sue decisioni. Ci ricorda che pur occupando, nella classifica internazionale, il posto umiliante dopo il Cile, abbiamo forse le più funzionali ed eccellenti elementari del pianeta. Guai a toccarle. Tornare all’insegnante unico è andare indietro, per più ragioni. Oggi il mondo è più complesso e rapido rispetto all’epoca dei grembiulini col fiocco. Accanto alla didattica classica sono necessari gli insegnamenti dell’inglese e dell’informatica, ad alto livello. Difficile trovare in un unico docente tutte le conoscenze necessarie. Senza contare che bene fa ai bambini adeguare il proprio carattere alle diverse personalità degli insegnanti. Anzi, più maestri cambiano in aula, meno corrono il rischio di incappare in quello sbagliato, capace di far danni irreversibili, vista la tenera età della scolaresca. Non si vede poi come garantire il tempo pieno con i tagli pesantissimi al corpo docente. Sempre l’Ocse ci ricorda l’utilità di estendere al pomeriggio le attività pedagogiche. Se ne giovano i bambini, che possono approfondire il lavoro mattutino e imparare anche a convivere nella socialità. Se ne giovano le famiglie e specialmente le madri lavoratrici, visto che non sono costrette ad abbandonare l’impiego.

La messa in disparte di ben 87.000 insegnanti sembra più una vendetta che un provvedimento razionale, come se le colpe del mal funzionamento della scuola fosse tutta loro, individualmente. È una visione semplicistica e riduttiva del problema. Se molti docenti hanno difficoltà a fare il loro mestiere è perché sono carenti le strutture e i metodi; sono fatiscenti le scuole, specialmente in periferia. Non si può insegnare bene in una scuola che perde dignità e autorevolezza. Senza contare che le mitologie consumistiche della nostra società tolgono carisma e importanza al sapere. Difficile insegnare oggi ai ragazzi che nella vita ci sono valori più importanti del denaro. Non dimentichiamo l’inchiesta condotta tra le ragazzine delle medie, di cui il settanta per cento sogna di diventare una Velina per fidanzarsi con un Vip e fare la spesa con la sua carta di credito. La desolazione di valori in cui i ragazzi si trovano a vivere non ha come responsabile soltanto la scuola, ma anche le famiglie, la televisione, il mito dilagante della ricchezza. In quasi tutte le aule del Paese l’insegnante è più povero dello studente, e in una realtà dove il denaro è l’unica cosa che conta, quale potere di convinzione può mai avere l’insegnante? È un clima diverso che va instaurato nel nostro Paese. È necessario tornare a vergognarsi di essere ignoranti, e ridare speranze al futuro.

Una riforma della scuola non può essere separata da un’analisi accorta della società. Competitività e merito vanno portati in primo piano, guai a quella scuola che vuole omologare i ragazzi e renderli tutti uguali. In classe vanno esaltate le differenze, per accrescere il senso critico degli alunni. Come ha scritto opportunamente De Rita, bisogna rifondare la nostra scuola ricominciando da zero, altro che grembiulino e taglio di risorse. Non si abbia fretta, perché si fa peggio. Ma è certo che bisogna agire subito, con calma e oculatezza. Per non sbagliare un’altra volta.

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