domenica, ottobre 22, 2006

SCUOLA – ECCESSIVI COMPITI A CASA

IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE GIUSEPPE FIORONI VUOLE ORA RIDURRE LA MOLE DEI “COMPITI A CASA” E ANNUNCIA DI CREARE UN GRUPPO DI ESPERTI PER RISOLVERE IL PROBLEMA.

LA QUESTIONE DEGLI ECCESSIVI “COMPITI A CASA” TOCCA (NELL’ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA FRA LE TANTE RAGIONI, NON LO CITA) ANCHE LA FUNZIONE FONDAMENTALE DELLA SCUOLA, VALE A DIRE LA PRODUZIONE DI FORMAZIONE CULTURALE DI TUTTI I RAGAZZI E RAGAZZE SUPERANDO GLI STECCATI DI CLASSE CHE ESISTEVANO PRIMA DELLA SCUOLA DELL’OBBLIGO E DI MASSA.

COSA SUCCEDE SE I “COMPITI A CASA” DIVENTANO PREMINENTI RISPETTO A QUANTO SI FA NELLE AULE? SUCCEDE CHE L’ONERE DI SEGUIRE I RAGAZZI VIENE A RICADERE ESCLUSIVAMENTE SUI GENITORI O SU COLORO CHE NE HANNO LA PODESTÀ. FIN QUI TUTTO BENE, MA PROPRIO QUI CASCA L’ASINO!

IL RAGAZZO CHE APPARTIENE AD UNA CLASSE ALTA CON GENITORI LAUREATI O DIPLOMATI SI TROVERÀ “AVANTAGGIATO” RISPETTO AD ALTRI DI CLASSE INFERIORE CON GENITORI A BASSO LIVELLO SCOLASTICO NON IN GRADO DI AIUTARLI IN MODO ADEGUATO.

IL RISULTATO SARÀ CHE I RAGAZZI PIÙ FORTUNATI SARANNO AVANTAGGIATI NEGLI STUDI DA QUESTA PRATICA RIPROPONENDO LA VECCHIA SCUOLA CLASSISTA, QUELLA CIOÈ CHE DA LA LAUREA AI FIGLI DI LAUREATI E LA LICENZA ELEMENTARE AI FIGLI DI LICENZIATI ELEMENTARI E VIA DICENDO, INGESSANDO LA NOSTRA SOCIETÀ.

INSOMMA L’ESATTO CONTRARIO DI CIÒ CHE LA SCUOLA DEVE FARE E CIOÈ DARE A TUTTI I RAGAZZI LA STESSA CULTURA E LE STESSE OPPORTUNITÀ.
INSOMMA VERREBBE DA DIRE, IN UNO SLOGAN CHE <<LA SCUOLA DEVE FARE PIU “SCUOLA” A SCUOLA>>.  AUGURI MINISTRO.
Raffaele B.  


CORRIERE DELLA SERA
Meno compiti a casa
22 ottobre 2006
I ragazzi devono avere più tempo libero». Impegnati per 10 ore e mezzo la settimana

ROMA — L’idea gli è venuta pochi giorni fa, quando ha ricevuto gli studenti italiani che hanno vinto le olimpiadi di matematica: «Nessuno di loro— racconta il ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni — è Archimede Pitagorico. Sono ragazzi normali, hanno la fidanzata, giocano a pallone. Mi hanno spiegato che di mattina a scuola imparavano le teorie e il pomeriggio a casa si divertivano ad applicarle a giochi, rebus, invenzioni ».
Giochi, invenzioni, pallone, fidanzate: altro che quelle valanghe di esercizi e regolette da mandare a memoria che allietano le giornate dei nostri ragazzi (e spesso anche dei loro genitori). L’idea, quindi: «Credo che i compiti—spiega il ministro al programma de La7 In Breve — dovrebbero essere svolti prevalentemente in classe in modo che a casa i ragazzi, il pomeriggio, possano interessarsi agli elementi che inducono loro curiosità».

Per questo Fioroni annuncia la creazione in tempi stretti di un «gruppo di lavoro». Un comitato di esperti che studi la questione e «rifletta attentamente sull’ipotesi di dare indicazioni e possibilmente anche risorse per favorire tempo pieno e prolungato». Magari più tempo a scuola, insomma, ma una volta suonata la campanella libri e quaderni chiusi. Il ministero non potrà «ordinare» di ridurre il carico di lavoro: il principio dell’autonomia scolastica fa sì che ogni istituto possa decidere come regolarsi. Ma la questione, adesso, è sul tappeto.
Del resto il confronto con gli altri Paesi fa riflettere: in Italia si studia a casa dieci ore e mezza la settimana, quasi il doppio della media Ocse. Perché? Il pedagogista Franco Frabboni — preside della facoltà di Scienza della formazione dell’Università di Bologna — chiama in causa i programmi: «Da noi gli insegnanti pensano solo ad arrivare alla fine del libro di testo. Si trasformano in sacerdoti che devono assicurare il culto del programma.

E allora pur di arrivare all’ultima pagina appioppano masse insostenibili di lavori a casa». Quello della lunghezza dei programmi è un altro record italiano. Più di una volta il professor Frabboni ha fatto parte delle commissioni chiamate a rivederli. «Si comincia sempre con l’intenzione di sfoltirli — racconta — ma poi per ogni materia entrano in gioco le lobby. Avere un programma più snello significa avere meno prestigio, meno ore di insegnamento e quindi meno cattedre, meno di posti di lavoro. E alla fine nessuno sposta una virgola».
Le resistenze, però, sono anche altre. Nel 2000 Salvatore Li Puma, preside della scuola elementare De Amicis di Palermo, chiese ai suoi maestri di non dare più compiti: «Protestarono quasi tutti i genitori. Dicevano che il pomeriggio i figli si piazzavano davanti alla tv a mangiare patatine». L’anno dopo il professor Li Puma ha cambiato scuola. «Hanno vinto loro. Spero che a Fioroni vada meglio».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

scusa, Lello, cosa sono le "lobby"... mi ha fatto "sorridere" la questione che sfoltendo i programmi le scuole perdono il loro prestigio.
Come al solito l'apparenza è più importante della sostanza.
Si preferisce quindi avere scuole con un consistente programma, in cui gli studenti non imparano tutto perchè alla fine qualcuno getta la spugna, piuttosto che programmi più ragionevoli, grazie ai quali gli studenti rischiano di imparare qualcosa che gli resterà non soltanto per il compito in classe.

Il problema è proprio questo: la mentalità è sbagliata.
dai programmi lunghi derivano professori che caricano gli alunni di compiti.
L'obiettivo diventa per i professori "finire il programma", quindi spiegare frettolosamente senza preoccuparsi di far capire i concetti, per gli studenti l'obiettivo diventa "finire i compiti", il che significa scrivere frettolosamente un esercizio senza preoccuparsi se è sbagliato oppure no, l'importante è finire i compiti.. mica imparare :-)

come possiamo poi cascare dalle nuvole se i ragazzi abbandonano la scuola?

Raffaele ha detto...

La "lobby" di una certa parte del corpo insegnante che "considera" la propria importanza e il valore del proprio "lavoro" sull'ampiezza dei programmi scolastici. Più grande sono questi, più grande il loro lavoro e quindi "potere" da esercitare nell'ambito della scuola stessa e nella società a detrimento della cultura che si insegna ai nostri ragazzi. Una vera riforma scolastica può sconfiggere la "lobby" e di conseguenza questa mentalità "corporativa". Auguriamoci che il governo la faccia.